Congresso Pri 25-26-27 febbraio 2011
Tribuna precongressuale

Leonello Ripa

Non potendo partecipare , per motivi di salute, al Congresso del Pri desidero inviare alla "Voce Repubblicana" queste mie modeste considerazioni e, nella speranza che qualche amico possa valutarle e, se condivise anche in parte, possa tenerle e prospettarle al congresso stesso.

Stiamo attraversando un momento particolarmente importante per il Paese; la situazione politica, economica, sociale e morale è tale da far temere per la "democrazia in pericolo". L’astensionismo si è avvicinato al 40% e questo non può non destare una doverosa e particolare attenzione. Questo è il triste risultato del bipolarismo ( e bipartitismo) di questi 15 anni. La cosiddetta "sinistra", (forse la forza più conservatrice e assistenzialista del Paese) ha governato per ben 4 volte: 2 con D’Alema e 2 con Prodi: che cosa ha realizzato ? Demagogia, conquista di "certi poteri" e non certo grandi insegnamenti di carattere morale. D’Alema sa bene che gli italiani non vogliono assolutamente il "comunismo" e cerca allora di poter "contare" aggregando tutto e tutti, pur di avere a disposizione il potere; dimenticando che tali governi sono caduti per questioni interne e proprie. Governare non è facile! Un PD che fa solo dell’antiberlusconismo e non riesce ad esporre un vero e proprio programma di governo e di riforme, non può avere futuro politico e credibilità; non si può solo distruggere bisogna anche saper costruire.

Ma dall’altra parte politica, dal centrodestra, non è che le cose siano tanto splendide, molte le parole, le enunciazioni, pochi i fatti. Stiamo assistendo al culto dell’"io" e ad una ricerca continua e assillante " riforma della giustizia" che non riesce a trovare una legittimità costituzionale. Questo sembra diventato il punto più impegnativo di questo governo. Certo alcune cose sono state fatte ma non mi sembra che questo governo possa avere la qualifica di "liberal-repubblicano"; per lo meno non è questo che vogliono i Repubblicani.

Ma la risposta positiva per poter incidere e modificare tale situazione non può essere però nemmeno quella del cosiddetto "terzo polo": un’area "cattolica" guidata da Casini e Fini (forse il Vaticano sarebbe stato più consenziente se avessero pensato a Letta)! Non è questa la radice storica, culturale e politica del Pri laico e cultore dell’Umanità. Questa sembra più una soluzione pro D’Alema che accontenta qualche ambizione personale, non certo ambizione politica.

In tutto questo breve quadro politico possono anche esserci alcuni politici veri, ma si vedono anche dei politicanti. Allora io voglio ricordare che un nostro grande politico del passato, Giovanni Conti, ebbe a scrivere tanti anni fa un "giornaletto" dal titolo: Politicanti, vil razza dannata. Io la penso come il maestro Conti. Noi siamo per un’area liberal-repubblicana che ha come obiettivo il Progresso generale, la Vittoria dell’Umanità! E lasciamo perdere il Partito Radicale; questi considerano essere solo loro i depositari di tale area, anche se poi vanno a "trattare" con tutte e due le parti avverse..

C’è molta gente oggi che non va a votare, che è stufa di quanto sta accadendo. Chi vive più da vicino con questa situazione coglie bene la pericolosità del momento . Non è esagerato pensare che la nostra democrazia corre qualche serio pericolo. Noi dobbiamo avere il coraggio e la volontà di uscire allo scoperto in un momento così importante: proporre una nuova, moderna pacifica rivoluzione Liberal Repubblicana. Si festeggia il 150° dell’Unità d’Italia e al congresso del Pri è doveroso ricordare quanto disse Giovanni Bovio: "Più da noi ti dipartono tempo e malizia, o Giuseppe Mazzini, più l’ordine ideale ci riconduce a te, augure e contemporaneo della Posterità".

Un congresso moderno "per tesi" deve essere vivo, vivace, produttivo. E’ questo il mio modesto augurio.

Leonello Ripa, Direzione Regionale Pri Marche

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Luigi Di Placido

Tutto tace. Due settimane al Congresso Nazionale e tutto tace.

Grande dibattito nelle autostrade telematiche da parte di iscritti e simpatizzanti, ma tutto finisce lì.

Eccola, bella evidente, la differenza in campo: c'è chi resiste e c'è chi chiede coraggio, c'è chi sta impegnando tutto sè stesso per motivare che questo è il migliore dei mondi possibili, e c'è chi un mondo migliore vuole provare a cercarlo sul serio, con tutti i rischi che ciò comporta.

Cosa ci occorre, più di questi 20 anni, per capire che il sistema sta implodendo? Cosa ci occorre, più di questo irriguardoso e vomitevole spregio delle istituzioni, per capire che non possiamo più essere complici di questa situazione anche solo per il non urlare a gran voce tutto il nostro sdegno?

E invece no, noi siamo presi da questioni ben più importanti: diatribe interne, deferimenti ai probiviri, fine di diaspore senza che si capisca come e per che cosa, il tutto con una chiara e imbarazzante sensazione: il nostro Partito è diventato come i nobili aristocratici delle monarchie vacillanti, più realisti del re perché quella è l'unico status quo nel quale si è sicuri delle proprie guarentigie, anche se il popolo protesta e la situazione precipita.

Tanto ci sono sempre le brioches.

Non è questo il PRI che intendo, e mi guardo con grande attenzione dal ripercorrere, strumentalmente e dolorosamente, gli ultimi 15 anni di storia del Partito: per troppo tempo lo abbiamo fatto e troppi sono stati i danni che ci ha arrecato questa cieca ed assurda demonizzazione delle posizioni, questo ridurre speciosamente tutto alla banalizzazione destra/sinistra, questo scambiare i rapporti personali con rapporti di vassallaggio capaci solo delle categorie del traditore e del miserabile.

Una volta i Repubblicani precorrevano i tempi ed i mutamenti sociali, disegnavano scenari guardati con diffidenza perché incompresi, in una parola avevano coraggio.

Oggi, con un sistema politico, economico e sociale ai limiti del collasso irreversibile, eccoci a fare la guardia al bidone di benzina vuoto, ciechi e sordi di fronte a tutto ciò che ci si muove intorno.

E dire che di argomenti per tentare di riprendere attenzione e visibilità nel paese ce ne sarebbero, molti di essi poi bagaglio indiscusso della nostra tradizione.

Primo tra tutti la necessità di una nuova Assemblea Costituente, e poi una riforma economica, fiscale e previdenziale che dia la cifra della nostra cultura liberaldemocratica, ben sapendo che oggi essa si esplica nella volontà ferrea di ridurre ingenti quote di Stato e di sistema pubblico (Provincie, do you remember?), per passare ad una visione complessiva dello Stato che non può essere una soluzione federalista raffazzonata, nella quale non si capisce chi tasserà cosa, chi pagherà cosa e sopratutto chi risponderà di cosa.

Ebbene, se questi temi sono riconosciuti e condivisi, perché sprecare un Congresso Nazionale su tesi sulle quali in larga parte conveniamo tutti?

La nostra prima necessità è veramente quella di ridefinire il bagaglio politico-programmatico? O quest' ultimo è pensato come sordina al crescente e giustificato malessere interno e clava verso il dissenso?

Ecco perché ci vuole una scossa, una scossa salutare, non senza rischi ma salutare.

Ho partecipato all'incontro del Salone Umberto organizzato dalle sezioni romane del PRI e ho partecipato all'ultimo Consiglio Nazionale; in entrambe ho manifestato la necessità di un rinnovamento totale del gruppo dirigente, senza volerlo far passare come semplice ricambio generazionale: tre passi indietro dei tre principali attori degli ultimi decenni (Nucara, La Malfa, Sbarbati, per chiarezza), e loro collocazione tra le risorse alle quali attingere per pareri, consigli, approfondimenti.

L'attuale gruppo dirigente va giudicato non per l'età anagrafica ma per l'incapacità che ha dimostrato nel captare e interpretare le tendenze della politica e le difficoltà interne, spesso sorda al confronto e pervicacemente inchiodata ad una supposta coerenza di schieramento (non di contenuti, si badi bene) sfociata nella pagina nerissima del fantomatico Gruppo di Responsabilità Nazionale.

Un nuovo gruppo dirigente per fare che cosa?

Per cominciare la "traversata nel deserto" verso la nascita di quel polo liberal-democratico che da ottobre 2007, data del Convegno di Milano, è il nostro obiettivo dichiarato a parole e, purtroppo, solo a parole.

Nessuno è così ingenuo da pensare che quello, come è adesso, sarà l'approdo definitivo della concretizzazione liberal-democratica; ma un conto è vivere con l'attesa messianica che quello che desideriamo accada esattamente come lo desideriamo (forse con l'arrivo dei marziani sula Terra), un conto è sporcarsi le mani in un progetto che per il momento ha almeno il merito di tentare di scardinare un sistema bipolare bastardo che abbiamo sempre condannato, con la volontà di contribuire alla sua ulteriore e più precisa definizione, forse con altri compagni di viaggio, di certo con un obiettivo a medio termine.

O la nostra consueta presunzione di superiorità ci impedirà di tentare di fare da soci di minoranza di un progetto difficilissimo ma affascinante, lasciandoci schiavi dell'oggi, incapaci di avere una visione?

Soffro di questa leggerezza del Pri, insostenibile per chi, come me, ne fa ragione di insostituibile impegno quotidiano; soffro per una tradizione che, come un nobile decaduto, si rifugia nel suo passato, nei suoi pur attualissimi tabernacoli, nella speranza allucinata che il ricordo sia, da solo, in grado di trasformare una impietosa realtà.

Soffro di tutto questo, ma la sofferenza non deve obnubilare la lucidità e, se possibile, l'entusiasmo.

Un nuovo Pri per una nuova Italia.

Se ci crediamo, lavoriamoci insieme.

Luigi Di Placido, Pri Cesena

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Enzo Baccioli

Il criterio del primato della Politica, secondo G. Mazzini, non è il dominio od il potere, ma il servizio alla Collettività; Mazzini lo ha scritto più volte, anche se in vario modo, e magari con un Italiano oggi in disuso e non facilmente comprensibile, sia sul piano della mutata sintassi quanto sul piano delle mutate idealità di riferimento.

La Famiglia Repubblicana odierna conserva però ancora nel proprio dna, a distanza di oltre un secolo, i caratteri originari di questo concetto, spesso in modo inconsapevole e sotto-traccia, spesso in modo confuso e annebbiato dalla realtà in cui è immersa e tendente più a premiare l'apparenza che la sostanza dell'essere. La Politica per i Repubblicani rimane l'unica fede religiosa "civile" cui legare la totale laicità dello Stato per una evoluzione positiva e progressiva di tutti i cittadini.

Accanto a questo concetto il Mazzini veicolava la necessità dell'Associazionismo, la necessità cioè della collaborazione tra tutti coloro che hanno a cuore la testimonianza comune verso gli stessi ideali e principi. E' proprio dalla fusione di questi due elementi: Politica come Fede e Associazione come Strumento, che la Democrazia Repubblicana ha avuto modo di esprimersi dalla metà dell'Ottocento sino ai giorni nostri.

In questi ultimi tre lustri, purtroppo, questo stretto legame tra i due elementi è venuto meno, per motivi vari che non ho la pretesa di indagare ma che ritengo, qualsiasi essi siano, difformi dal principio basilare del "Servizio alla Collettività", unico mandato su cui innestare la creazione di una vera Res Publica. In questi anni della diaspora c'è stato chi, con sacrificio e ad onta di mille sberleffi, ha resistito a mantenere acceso il ceppo della fiammella Repubblicana, in mezzo a mille difficoltà ed incomprensioni, permettendo il permanere della speranza, in mezzo alla procellosa ed impazzita scena politica italiana, di una boa d'ancoraggio a cui ancorare la rinascita politica ed organizzativa della Famiglia repubblicana.

Il prossimo Congresso in via prioritaria, accantonando ognuno i propri edonismi ed interessi particolari, con l'esercizio di tanta modestia e magari di necessaria autocritica, deve quindi essere considerato come l'occasione (forse estrema) per un termine "perentorio" della diaspora; per rimettere insieme i cocci, per ridare al Paese la "speranza" di una forza politica che, unica nella Storia Italiana, sappia coniugare quotidianamente il Pensiero democratico con l'Azione per il bene della Collettività.

Per far questo occorre che il prossimo Congresso di Febbraio non ci veda partecipi con ipotesi preventive di schieramento (che sarebbero solo sorgenti di pozzi avvelenati) ma solo animati da chiari intenti di unitarietà e di aggregazione. Solo così sarà poi più facile per tutti seguire democraticamente la strategia politica che verrà espressa dai Congressisti. Non facciamoci scappare questa occasione.

Enzo Baccioli

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Rocco Casciana

Amici repubblicani si avvicina sempre più il giorno e l’ora dell’apertura del nostro Congresso che dovrebbe chiudere la diaspora tra gli amici, aperta con il Congresso di Bari.

Non voglio rammentare quel Congresso: è stato senza meno il momento più difficile per il nostro Partito che ha creato scissioni e ricompattibilità a causa di aspri dissensi sulle decisioni politiche del Partito dovute essenzialmente all’apertura al governo Berlusconì.

Quest’ultima linea politica non confacente ad un movimento come il nostro che ha sempre anteposto gli interessi dei cittadini più umili a quelli di uomini non abituati ad un benessere acquisito, una unione con una destra miope, pretenziosa ma mai pronta a proporre modifiche economico-strutturali se non in loro favore.

Molti di noi non hanno accettato una simile trasformazione nell’ambito della vita politica del Paese e si sono arroccati in difesa dei veri principi tradizionali del Partito, in difesa dei diritti delle popolazioni nella corrente di "Riscossa Repubblicana" che ha contrastato una maggioranza di berlusconiani che hanno, con la loro spregiudicatezza, degna di una miglior causa, trasformato i principi mazziniani in una difesa ad oltranza di privilegi dei gruppi di potere.

Ebbene questo Congresso si sta presentando come il più difficile degli ultimi anni della vita politica nazionale.

Si paventa la fine della diaspora degli amici repubblicani sia di quelli vicini al Movimento repubblicano europeo, guidato dall’amica Senatrice Luciana Sbarbati, come pure degli amici vicini ad Ossorio.

Per questo dovremmo essere contenti!

Ma una grossa nube si presenta: un’aspra diatriba, aperta tra il Segretario uscente Francesco Nucara e l’amico Giorgio La Malfa, per motivi dei tutto plausibili in quanto derivati da una visione diversa della collocazione dei Partito.

La prima, che confermerebbe la fiducia al Governo Berlusconi e l’altra quella di una politica in cui il partito abbia a schierarsi nella posizione di centro, autonomia dei due poli contrapposti: che guardi solo gli interessi del Paese.

Questa politica equidistante porterebbe finalmente il nostro partito ad essere se stesso, nella scia della cultura mazziniana e repubblicana, consentendo una libertà di movimento che è senza meno di una moderna liberal-democrazia che di volta in volta potrebbe scegliere in Parlamento le posizioni più valide ed opportune per il Paese, giudicate indifferentemente sia se proposte dalla destra sia se proposte dalla sinistra.

Questo potrebbe consentire al nostro partito una posizione propositiva, nell’interesse generale del Paese.

Ma a questo punto si deve fare appello a tutti, dico tutti gli amici, per superare diatribe e dissensi, senza preconcetti e senza ammonimenti ma per il solo interesse di vedere ancora una volta trionfare i principi mazziniani nell’interesse dei cittadini e del Paese tutto.

Sarebbe pertanto necessario ed opportuno rinviare ancora, per un paio di mesi, la celebrazione del Congresso previsto quasi a giorni, per lasciare decantare l’astrusa politica nazionale che rasenta il rischio di portare a nuove elezioni politiche.

Questo servirà a trovare i chiarimenti necessari per superare i dissensi e le asprezze interne.

Penso che questo appello non abbia a cadere nel vuoto perché è dettato dall’amore di una vita dedicata al Partito.

Amici! Intelligenti pauca. A chi capisce poche parole.

Rocco Casciana, Consigliere nazionale Pri

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Paolo Ferrara*

Devo dire agli amici che a me era parsa cosa buona e giusta l’idea di un Congresso a tesi per sottolineare la nostra diversità da questo universo mondo politico, a maggior ragione se il partito aveva ancora al suo interno divisioni tali da consentire a Rocco Casciana di parlare di "repubblicani berlusconiani". Forse Casciana ce l’ha con Giorgio La Malfa che ho visto su un palco a Milano in festa accanto a Berlusconi e la Mussolini; e non mi sembrava una convention del Pri, ma dell’allora neonato Pdl. A parte l’onorevole Giorgio La Malfa non conosco nessuno che abbia dato tale spettacolo di entusiasmo per il predellino berlusconiano, considerando poi l’adesione al gruppo del Pdl quando il partito aveva dato indicazione per gruppo misto. Voi direte: ma poi La Malfa ha cambiato idea. Io direi: da un eccesso all’altro. Anche perché noi in Calabria non siamo eletti nelle liste del Pdl, ma in quelle repubblicane e, come nel caso dell’ultimo consigliere regionale, con una lista di repubblicani con altri, i socialisti, non con Verdini. Forse per essere attaccati al partito bisogna difenderlo nelle prove elettorali in cui si presenta. La Malfa alle regionali aveva auspicato un successo dell’opposizione dimenticando che il partito era impegnato in quasi tutt’Italia con il centrodestra. E’ evidente che il partito conta poco o nulla, conta molto invece l’opinione volubile dell’onorevole La Malfa. Solo che se La Malfa aveva torto, quando era corso nel gruppo del Pdl, chi mi dice che abbia ragione ora che sta con Fini, Casini e Rutelli? Casciana è convinto con altri amici che questa sia la soluzione giusta, più adatta al nostro partito. Beati loro. Perché scusate, Casini e Fini sono stati più tempo alleati, e con più convinzione, di Berlusconi di quanto lo siamo stati noi. Io a dire la verità ero contento quando se ne sono andati, perché se si deplora la destra non capisco di quale altra destra si parli se non di quella che ha rappresentato Fini per trent’anni e quella cattolica di Casini. C’è Rutelli. Ma che credibilità possono avere presso l’opinione pubblica gli amici di Berlusconi che gli sono diventati nemici per mere ambizioni personali, perché di questo si tratta? Guardate che se il partito vuole trovare un’altra strada da quella attuale è libero di farlo, non sarà io a dire che bisogna stare con Berlusconi fino alla fine dei nostri giorni. Certo mi preoccupa che all’indomani di un successo elettorale importante del centrodestra, quello delle regionali, quando tutti i governi venivano mortificati dal voto, contro un premier che godeva di tale consenso nel paese si siano mossi prima il presidente della Camera e poi alcune procure. Per decidere se Berlusconi ha fallito o meno, dovrebbero esserlo gli italiani a decretarlo. "Dio e popolo", diceva Mazzini, non caste di magistrati insoddisfatti delle loro ambizioni politiche. Poi c’è l’amico Di Placido che, sul sito web del Pri, dice: il partito è leggero. Io non l’ho pesato, però peso la leggerezza di certe argomentazioni. Dov'è la certezza che con una formazione di governo guidata da Casini o Bersani, sulla base di queste esperienze, si riesca a capovolgere un destino di regresso dell’Italia che pure è evidente? E se invece peggiorasse? Se la crisi, nella mancanza di adeguati riferimenti politici, precipitasse ancora? Tagliamo le Province, dice Di Placido, bravo. Nucara ha già presentato un disegno di legge per l’abolizione delle Province. Della Vedova, di Sondrio, è d’accordo? Ma chi è disposto davvero a farlo: l’Udc? Il Pd? Casini? Io l’unica proposta che ho sentito da Casini in termini economici è di maggior sostegno alla famiglie. Comunque gli amici vogliono un partito pesante? Benissimo. Io lo voglio anche "pensante", che eviti un suicidio annunciato. Il patto di Casini a me sembra il patto dell’Italia con l’onorevole Mazzucca a rappresentare il Pri in Parlamento, e pronto a disfarsi un’ora dopo il voto. Purtroppo si inciampa sempre sul piede che zoppica.

*Capogruppo Pri al Comune di Reggio Calabria